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Il grande “inganno” dei bestseller

Il grande “inganno” dei bestseller

NYT bestsellers lists

Anche se in Italia le classifiche di vendita pubblicate sui quotidiani si basano prevalentemente sulle vendite effettive di BookScan, la maggior parte dei libri in circolazione è una traduzione dall’inglese e dunque non è difficile lasciarsi “conquistare” quando, scorrendo in libreria o su internet le liste infinite di libri tra cui scegliere, leggiamo: “Il bestseller numero 1 del New York Times”, “The Sunday Times Bestseller” e così via. È certamente un dettaglio che attira l’attenzione e, anche se non porta necessariamente all’acquisto del titolo in questione, è normale prenderlo almeno in considerazione.

Ma è possibile che ci siano tutti questi bestseller? Il termine stesso, “bestseller”, indicherebbe che quello è il libro più venduto di tutti, ma se cominciano a essere troppi, la loro “unicità” svanisce.

Un vecchio ma attuale articolo sul sito Slate intitolato «What’s With All the “National Best Sellers”?» (Che succede con tutti questi bestseller nazionali?) svela questo mistero.

L’autore dell’articolo Sean Rocha scrive che oggi, quando si entra in una libreria sembra che tutti i libri siano “bestseller nazionali”. Questo accade perché ci sono diverse liste e non tutte riportano gli stessi libri.

Pare che la prima classifica americana di bestseller sia nata nel 1985 come rubrica mensile in una rivista che ormai non esiste più, The Bookman. La più vecchia tra quelle ancora attive è invece quella di Publishers Weekly, introdotta nel 1912 e, successivamente, la New York Times Book Review nata nel 1942. Oggi negli USA le liste dei best-seller che indicano l’andamento dei libri a livello nazionale o in precisi segmenti di mercato sono decine, ma nessuna traccia tutti i libri venduti negli USA. Persino le liste nazionali attingono a campioni di vendite riferite da alcuni librai, per poi estrapolare il totale delle vendite nazionali.

L’indicatore principale è il prestigioso New York Times, che ogni settimana riceve relazioni sulle vendite da circa 4000 librerie, oltre che da grossisti che distribuiscono ad altre categorie di vendita, come centri commerciali, edicole e supermercati. Lo strumento attraverso cui le librerie riferiscono le loro vendite è un modulo creato dagli editor del giornale e include titoli che secondo gli editor venderanno bene. Sebbene nel modulo c’è dello spazio in cui i librai possono inserire altri titoli, alcuni critici (in particolar modo librai e case editrici indipendenti) ritengono che il modulo del NYT renda le cose difficili per quei titoli meno blasonati ma che diventano popolari grazie al passaparola. Naturalmente, anche il grande NYT sbaglia, come riportava uno studio del professor Alan Sorensen della Stanford Graduate School of Business, il quale ha identificato ben 109 titoli di narrativa che, pur non essendo mai entrati nelle liste del NYT (si parla del 2001 e 2002) hanno venduto più copie di altri libri altrimenti presenti.

Altre liste, come quelle regionali del San Francisco Chronicle e del Los Angeles Times, si basano su piccoli sondaggi, mentre la lista “Book Sense” dell’American Booksellers Association raccoglie i dati da alcune librerie indipendenti (circa un quarto del totale).

Naturalmente Sean Rocha fa notare che, poiché tutte queste liste rappresentano fette diverse della torta (e poiché anche quelle che rappresentano la stessa fetta di mercato utilizzano campioni diversi) ci sono divergenze considerevoli.

Le classifiche dei bestseller indicano come sta andando la vendita di un titolo rispetto ad altri in una specifica area geografica o nicchia di mercato, ma non rivelano quante copie sono state vendute o l’entità degli incassi (come succede invece nel cinema, in cui gli spettatori possono controllare gli incassi dei botteghini), il che significa che, per un libro come Il codice Da Vinci, che è stato al primo posto di quasi tutte le classifiche di narrativa, non ci è dato sapere se quella posizione si basa sulla vendita di 1000 copie o di 1 milione, né l’ammontare degli incassi.

Certo, il mercato del libro e quello cinematografico sono troppo diversi e difatti il punto principale dell’articolo di Rocha è la scarsa trasparenza e incoerenza delle liste dei bestseller, ma senza dubbio il suo articolo ci fa aprire gli occhi e ridimensionare la rilevanza di questi strilli pubblicitari.

L’articolo originale si trova qui.

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